- Breve storia della psicoterapia cognitivo-comportamentale
- L’approccio cognitivo-comportamentale in Italia
- Efficacia della psicoterapia cognitivo-comportamentale
- Bibliografia citata
Il modello di formazione della Scuola Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva di Napoli, gestita dal CSP (Centro per lo Studio della Personalità) deriva dagli studi comportamentali e cognitivi dell’Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva (AIAMC) a cui è affiliata e, di conseguenza, dall’intero movimento scientifico cognitivo-comportamentale.
Breve storia della psicoterapia cognitivo-comportamentale
A partire dagli studi di Watson che con il suo famoso saggio “Psychologist as a behaviorist view” pubblicato sulla Psychological Review nel 1913 introdusse la teoria comportamentista, di Pavlov sul condizionamento classico e, successivamente, di Skinner sul condizionamento operante, la terapia comportamentale ha iniziato il suo sviluppo con Joseph Wolpe, che ne ha applicato le metodologie alla risoluzione di casi clinici, introducendo tecniche quali la desensibilizzazione sistematica.
L’approccio di Wolpe e dei primi comportamentisti non teneva però conto, nella migliore tradizione comportamentista, di ciò che avveniva nella cosiddetta “scatola nera” ossia delle cognizioni degli esseri umani, in quanto era un approccio esclusivamente del tipo stimolo-risposta.
In un momento successivo i terapeuti di questo orientamento si sono dedicati alla comprensione di ciò che avveniva tra lo stimolo e la risposta e che, pertanto, poteva meglio aiutare a comprendere ciò che avveniva nella mente delle persone che ricercavano un aiuto clinico e di conseguenza poteva essere di ausilio per migliorare il trattamento di alcune patologie.
Negli Stati Uniti in quegli anni (1960–1980) si sviluppò pertanto la corrente cognitivista per opera soprattutto di Ellis e Beck.
Albert Ellis mise a punto il suo modello clinico e psicoterapeutico, denominato Terapia Razionale – Emotiva, che venne pubblicato in forma completa in “Reasons and Emotions in Psychotherapy” (1962).
Uno dei presupposti su cui la terapia razionale-emotiva di Ellis fondava la sua teoria e la sua prassi clinica era la considerazione della stretta interdipendenza esistente tra comportamenti, emozioni e cognizioni.
Nell’operatività della prassi psicoterapeutica il modello di Ellis venne sintetizzato nell’equazione A-B-C, nella quale A sta per evento attivante, interno od esterno; B sta per “belief system” (sistema di convinzioni), ovvero i pensieri, le convinzioni e le immagini cognitive dell’individuo; C sta per conseguenze cognitive e comportamentali.
Ellis prestò un’attenzione privilegiata a quello che venne definito “il sistema delle convinzioni” occupandosi, in particolare, di identificare le cosiddette convinzioni irrazionali, ossia convinzioni che mancavano di corrispondenza con i dati della realtà obiettiva e convinzioni che interferivano con gli scopi della sopravvivenza e del benessere individuale.
Beck negli Anni 1967-1970 iniziò autonomamente a sviluppare un proprio modello psicoterapeutico nel quale veniva dato particolare rilievo al ruolo delle cognizioni nella genesi e nel mantenimento dei disturbi emotivi.
Gli schemi cognitivi, che ognuno di noi sviluppa durante la vita a contatto con il mondo esterno e con le esperienze interne, rappresentano una specie di filtro attraverso il quale noi vediamo noi stessi e le nostre relazioni con l’ambiente esterno, ma anche delle regole personali di vita secondo le quali noi organizziamo le nostre conoscenze. Mentre alcune regole sono esplicitamente possedute ed applicate dagli individui, nella maggior parte dei casi, esse vengono utilizzate automaticamente ed in assenza di consapevolezza.
Tali regole vengono raramente sottoposte ad una verifica di validità e, qualora distorte, possono indurre e successivamente mantenere un disturbo psicopatologico.
L’approccio cognitivo-comportamentale in Italia
In Italia grazie all’opera del Prof. Goldwurm negli Anni ‘60 accanto agli studi psicofisiologici sui riflessi condizionati presso la Clinica Psichiatrica diretta dal Prof. Cazzullo, hanno inizio i primi trattamenti clinici di soggetti nevrotici con la Behavior Therapy grazie all’insegnamento di Joseph Wolpe.
E’ proprio con questo autore, iniziatore delle terapie comportamentali, che il gruppo dell’AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e di Terapia Comportamentale e Cognitiva) ha preso contatto alla fine degli Anni ‘70 ed all’inizio degli Anni ‘80.
Sempre a cavallo tra gli Anni ‘70 e ‘80 si fa più forte l’influenza dell’altra grande scuola comportamentista: quella influenzata dal modello Skinneriano.
Valenti studiosi di questo approccio vengono dall’Istituto di Psicologia dell’Università di Milano, da quello di Siena, di Messina e dal corso di laurea in Psicologia dell’Università di Padova.
All’interno dell’AIAMC (Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e di Terapia Comportamentale e Cognitiva), a cui la nostra Scuola è affiliata, matura la consapevolezza del ruolo importante di formazione e diffusione di quest’approccio scientifico sia in ambito clinico che riabilitativo nel panorama italiano di quegl’anni.
La nostra scuola evolve rapidamente con l’indirizzo cognitivo-comportamentale. Viene valorizzato l’apprendimento osservativo, il modellamento e dato impulso all’applicazione delle tecniche assertive ed alla terapia di gruppo. Questi modelli di intervento, già indicati da Wolpe nell’ansia sociale, si mostrano particolarmente efficaci nella riabilitazione cognitiva e comportamentale degli psicotici cronici.
Successivamente nel 1986 per quanto riguarda la riabilitazione psichiatrica, l’AIAMC prende contatto con la scuola inglese di Falloon ed in particolare con quella di Liberman a Los Angeles. Liberman viene invitato in Italia a tenere alcuni seminari al Congresso Comportamentista AIAMC di Milano.
Il modello multifattoriale di Liberman per la schizofrenia (vulnerabilità – stress – fattori di protezione) ha ispirato la formazione sia terapeutico-riabilitativa che di ricerca presso le varie scuole dislocate nel territorio nazionale.
Il comportamentismo è presente in Italia prevalentemente per l’attività di ricerca e diffusione svolta negli anni ’60 da Canziani – Pessotti a Messina e Milano, Goldwurm a Milano e Giancarlo Reda presso l’università la Sapienza di Roma.
Nel 1972 Meyer tenne un seminario sulla Terapia del Comportamento presso l’Istituto di Psicologia della Facoltà Medica per gli allievi della Scuola di Specializzazione in psicologia e, nello stesso anno, esce la traduzione del libro di Wolpe “Tecniche di terapia del comportamento” a cura di R. Luccio, ricercatore dell’Istituto. Nel 1973 E. Caracciolo presso il medesimo Istituto costituì la Sezione di psicologia del Comportamento, presso la quale raccolse un nutrito gruppo di allievi della Scuola di Specializzazione, tra i quali R. Anchisi, B.G. Bara, G. Cavadi, F. Colombo, C. Cornoldi, S. Perini, L. Pedrabissi, E. Sanavio e A. Scarlato, per condurre indagini sull’apprendimento umano.
Il nucleo storico della Terapia del Comportamento italiana tramite Cornoldi e Sanavio si saldò con il gruppo dell’Università di Padova, formato da Corao, Galeazzi, Meazzini, Peron e Soresi: infatti, grazie a loro, presso l’Istituto di Psicologia Sperimentale, ebbe inizio l’opera di divulgazione e di approfondimento metodologico soprattutto in ambito scolastico ed evolutivo con la rivista “Formazione e Cambiamento”.
Lo psichiatra comasco Tomaselli Marzano nel 1978 tenne a Brescia, presso il Servizio di Psicologia dell’Ospedale Psichiatrico, uno dei primi corsi di “Terapia del comportamento” per gli psicologi (una decina) della Lombardia. Contemporaneamente a Milano il gruppo dell’ASIPSE (Associazione per lo studio e l’insegnamento psico socio educativo – Scuola di formazione in psicoterapia comportamentale e cognitiva), composto da Goldwurm, Meneghelli, Sacchi, De Isabella, Michielin, Masaraki, iniziò i primi lavori sperimentali di riabilitazione in psichiatria. Questo lavoro può essere definito come la vera pietra miliare della riabilitazione in Italia. Infatti, dopo l’avvento della legge Basaglia, è merito del suddetto gruppo di aver posto le basi per un lavoro sistematico, in chiave cognitivo – comportamentale, di definizione di un nuovo approccio riabilitativo alla malattia mentale.
In Italia, sempre nel campo neuro–psichiatrico, va segnalata l’attività di divulgazione delle ricerche neurofisiologiche delle scuola sovietica da parte di Mecacci e Misiti con la pubblicazione di un libro dal titolo “Come lavora il cervello” (1973) in cui è contenuta una sintesi aggiornata delle ricerche sulle funzioni corticali superiori di Lurija.
Bisognerà, però, arrivare agli anni ’70 per registrare una forte affermazione del cognitivismo e del comportamentismo dovuto all’opera di Pasotti, Goldwurm, Caracciolo, Canziani che in maniera pioneristica sostennero il primato della sperimentazione scientifica nella spiegazione di fenomeni relativi al comportamento umano.
L’Associazione Italiana di Analisi e Modificazione del Comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva (AIAMC) svolge in quegli anni un ruolo di ricerca e di divulgazione in campo psicologico, occupandosi prevalentemente delle applicazioni della terapia comportamentale in campo clinico ed educativo.
Per quanto riguarda il lavoro svolto dai vari centri AIAMC, vanno ricordate le prime applicazioni cliniche del Biofeedback in medicina comportamentale iniziate dal prof. Agnoli, presso la Clinica psichiatrica dell’Università de L’Aquila, continuate poi presso l’Istituto di psicologia dell’Università di Padova dal prof. Sanavio, in collaborazione con il gruppo romano della SIB (Società Italiana di Biofeedback). Proprio Sanavio pubblicò nel 1981 il libro “Le nevrosi apprese” nel quale venivano pubblicati articoli storici relativi alla psicoterapia comportamentale.
Questa attività è continuata da P. Meazzini, attraverso una intensissima opera pionieristica di divulgazione della terapia del comportamento.
E’ importante ricordare il lavoro di Carlo Perris (1998), a cui va sicuramente riconosciuto il merito di aver introdotto la terapia cognitiva nel trattamento degli psicotici.
Efficacia della psicoterapia cognitivo-comportamentale
Nel 10–40% dei casi i disturbi psicopatologici hanno una remissione spontanea. Tenendo conto di questo dato si parla di efficacia quando il trattamento ottiene una percentuale di miglioramento maggiore ed in tempi brevi, rispetto all’evoluzione spontanea del disturbo.
Il trattamento, però, non deve essere solo efficace ma anche efficiente, basandosi sul bilancio costi-benefici. Roth e Fonagy (1996) hanno preso in considerazione le prove di efficacia delle diverse forme di trattamenti psicoterapeutici ed hanno evidenziato che la terapia cognitivo–comportamentale, per la maggior parte dei disturbi, ovvero depressione, ansia, disturbi ossessivi – compulsivi, disturbi alimentari, disturbo post–traumatico da stress, disturbi dell’età evolutiva, abuso di alcool, disfunzioni sessuali, è efficace e porta a miglioramenti stabili nel tempo.
In particolare:
- per quanto riguarda l’efficacia della terapia cognitivo–comportamentale nei disturbi dell’umore vi sono numerose rassegne di studi che analizzano i risultati dei trattamenti effettuati con questo tipo di tecnica (Fava et al., 1994; Gloaguen et al. , 1998);
- in riferimento al trattamento delle fobie vi sono due metodi efficaci: la desensibilizzazione sistematica, che si basa sul principio dell’inibizione reciproca, e l’esposizione–prevenzione della risposta. In questo tipo di tecnica il paziente sperimenta l’ansia e gli vengono fornite delle strategie per la gestione dell’esperienza ansiogena. L’efficacia di queste tecniche è stata dimostrata da numerosi sudi (ad esempio, Howard et al., 1983; Marks, 1987; Öst et al., 1998);
- per quanto riguarda il trattamento dei disturbi di panico, all’interno della terapia cognitivo–comportamentale, ci sono dei trattamenti specifici di provata efficacia (Barlow e Craske, 1989; Beck ed Emery, 1985; Beck et al., 1992; Black et al., 1993);
- anche per i disturbi ossessivo–compulsivi esistono studi che provano l’efficacia della terapia cognitivo–comportamentale, che consiste nell’aiutare i pazienti a modificare il loro modo di pensare e le loro credenze (Freeston et al., 1997; Van Oppen et al., 1995);
- per quanto riguarda il disturbo post–traumatico da Stress la terapia cognitivo-comportamentale ha a disposizione trattamenti efficaci: lo Stress inoculation training di Resick e Jordan del 1988 (SIT), la terapia di esposizione prolungata o PET (Foa et al., 1991) che consiste nell’affrontare ripetutamente gli stimoli temuti in immaginazione e la terapia dell’elaborazione cognitiva (Resick e Schnicke, 1990) dove vi è l’esposizione al ricordo traumatico e la discussione delle credenze disfunzionali;
- anche per i disturbi dell’alimentazione si è dimostrato che la CBT è più efficace rispetto alle altre psicoterapia (vedi, ad esempio, Wilson et al., 1997). Stando agli ultimi risultati i tassi di ricaduta nel breve termine per i pazienti bulimici sono del 49% in caso di abbuffate e del 64% per le condotte di eliminazione;
Si può concludere, pertanto, affermando che la ricerca dimostra ampiamente l’efficacia della psicoterapia cognitivo–comportamentale.
Bibliografia citata
- Barlow, D.H. e CrasKe, M.G. (1989). Mastery of your anxiety and panic. New York, NY: Graywind Publications.
- Beck, A.T. e Emery, G. (1985). Anxiety disorders and phobias: A cognitive perspective. New York, NY: Basic Books.
- Beck, A.T., Sokol, L., Clark, D.A., Berchich, R. e Wright, F. (1992). A crossover study of focused cognitive therapy for panic disorder. American Journal of Psychiatry, 149(6), 778-783.
- Black, D.W., Wesner, R., Bowser, W. e Gabel, J. (1993). A comparison of fluvoxamine, cognitive therapy, and placebo in the treatment of panic disorder. Archives of General Psychiatry, 50, 44-50.
- Ellis, A. (1962). Reason and emotion in psychotherapy. Oxford, England: Lyle Stuart.
- Fava, G. A., Grandi, S., Zielezny, M., Canestrai, R. e Morphy, M.A. (1994). Cognitive behavioral treatment of residual symptoms in primary major depressive disorder. American Journal of Psychiatry, 151, 1295-1299.
- Foa, E. B., Rothbaum, B.O., Riggs, D.S. e Murdock, T.B. (1991). Treatment of posttraumatic stress disorder in rape victims. A comparison between cognitive behavioural procedures and counselling. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 65, 405-413.
- Freeston, M.H., Ladouceur, R., Gagnon, F., Thibodeau, N., Rhèaume, J., Letarte, H. e Bujold, A. (1997). Cognitive – behavioural treatment of obsessive thoughts: A controlled study. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 65, 405-413.
- Gloaguen, V., Cottraux, J., Cucherat, M. e Blackburn, I.M. (1998). A meta analysis of the effects of cognitive therapy in depressed patients. Journal of Affective Disorders, 49, 59-72.
- Howard, W.A., Murphy, S.M. e Clarke, J.C. (1983). The nature and treatment of fear of flying: A controlled investigation. Behaviour Therapy, 14, 557-567.
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- Marks, I.M. (1987). Fears, phobias and rituals. Oxford, England: Oxford University Press.
- Meazzini, P. (1981). Il comportamentismo: una storia culturale. Pordenone: ERIP.
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- Roth, A. e Fonagy, P. (1996). Psicoterapie e prove di efficacia. Roma: Il pensiero scientifico Editore.
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- Wolpe, J. (1984). Tecniche di terapia del comportamento. Milano: Franco Angeli.
- Ellis, A (1994). Reason and Emotion in Psychotherapy: A Comprehensive Method of Treating Human Disturbances: Revised and Updated.. Citadel, PR: Rev Sub edition.